Quando l’ansia diventa attacco di panico – Una storia
Da circa nove mesi sto seguendo un paziente a studio privato che mi ha chiesto aiuto per via dei suoi costanti attacchi di panico. Nel descriverli, mi dice che, quando insorgono, entra in una condizione di paralisi fisica, durante la quale non riesce a compiere alcun tipo di movimento e, di conseguenza, si sente estremamente a disagio. Le sensazioni che prova in quei momenti gli risultano intollerabili, tanto che, durante le sedute, avanza critiche severe verso se stesso, che lo portano a ripetersi che è triste e malato, mentre gli altri intorno a lui sono felici e sani.
Da poco ventottenne, ha intrapreso diversi corsi di studio senza concluderne alcuno, imputando la responsabilità di questo alla sua ansia invalidante. Allo stesso modo non porta a termine gli impegni sportivi che ciclicamente si pone, né si sente soddisfatto delle relazioni sentimentali che stringe e che descrive come instabili e caratterizzate da partner inaffidabili.
I suoi due fratelli maggiori sono usciti di casa da diverso tempo, hanno un lavoro stabile e hanno costruito la propria famiglia.
Si descrive come il figlio più problematico da sempre e, per questo, poco apprezzato dai genitori. Genitori che sembrano non essere uniti da un rapporto solido e che, riferisce, potrebbero separarsi una volta che anche lui uscirà di casa e rimarranno soli.
Il ruolo di figlio problematico e fallito, se da un lato rappresenta per lui una grande fonte di sofferenza, dall’altro sembra costituire un dono d’amore per loro che, occupandosi di lui, possono distogliere l’attenzione da se stessi e dalla coppia.
Il doloroso stallo in cui si trova lo porta in terapia, spinto dal desiderio di cambiare la sua condizione. Gli attacchi di panico, incorsi nell’ultimo anno, rappresentano l’impedimento alla sua realizzazione e sono la voce della paura che lo frena al cambiamento.
Quella dell’ansia è una tematica molto discussa, tanto che spesso si utilizza questo termine per descrivere una condizione di disagio che non è propriamente riconducibile ad uno stato ansioso o di panico.
Che cos’è l’attacco di panico?
L’attacco di panico è un’improvvisa attivazione che pone il nostro corpo in allarme, attraverso sintomi fisici ed emotivi che scatenano una sensazione di intensa paura e morte.
Di fronte al riconoscimento di un pericolo non ci stupirebbe provare una paura simile, ma in sua apparente assenza si. Dico “apparente” perché in allarme non ci si entra mai senza motivo. Gli attacchi di panico, per quanto a prima vista sembrino ingiustificati, si innescano sempre per una ragione.
Perché gli attacchi di panico sembrano immotivati?
Perché, se per natura agiamo sulla base di un sentire cosciente, che comprende i pensieri, i valori, le ambizioni, le convinzioni e tutto ciò che rientra in una sfera di contenuti espressi; sempre per natura il nostro modo di stare al mondo è mosso anche e in grande misura da leggi appartenenti ad un sentire più profondo, emotivo e il più delle volte inconsapevole.
Quest’ultimo è un canale che si muove sotto traccia e che, per essere ascoltato, di tanto in tanto ricorre al sintomo.
Il sintomo altro non è che un messaggio da decifrare, i cui indizi sono incisi tra le pagine che si trovano, appunto, ai piani più profondi del nostro essere.
Quando insorgono gli attacchi di panico?
È fondamentale contestualizzare la comparsa di sintomi quali l’attacco di panico, all’interno di una cornice temporale che spieghi cosa stava accadendo in quel preciso momento nella vita di chi ne soffre.
Di solito compaiono durante quelli che possiamo definire “scatti di crescita”, ovvero fasi del ciclo di vita che richiedono, di per sé, un cambiamento in termini di crescita personale ed evoluzione, nonché una riorganizzazione.
Esempi di queste fasi di passaggio sono:
– l’adolescenza;
– lo svincolo dalla famiglia di origine;
– l’avvio della convivenza con il proprio partner;
– la definizione del proprio progetto di vita, in termini di percorso lavorativo o di genitorialità e costruzione della famiglia;
– l’uscita da casa dei figli;
– la perdita o la separazione da una figura cara;
– il pensionamento.
Perché la riorganizzazione mette paura?
Ogni desiderio è affiancato da una paura e si muove man mano al fianco di questa. La ragione di ciò è insita nell’animo e nella fisiologia umani.
L’innata spinta ad evolvere è accompagnata dalla perdita di vecchie certezze e di vecchi schemi che, per quanto non siano più funzionali alla propria fase attuale, fino ad un certo momento hanno rappresentato una garanzia di sicurezza. Lasciarli per abbracciarne di nuovi sottopone alla forte paura di perdere l’equilibrio in cui fino a quel momento si è imparato a riconoscersi.
A volte, restare ancorati a ciò che si conosce diventa una questione di vita o di morte. Il desiderio spinge in avanti, la paura fa indietreggiare, tanto che tra un movimento e l’altro si resta fermi nello stesso punto. In altre parole si entra in blocco.
La permanenza in un simile stallo è tollerabile per un periodo di tempo limitato, a seguito del quale si entra in una condizione di sofferenza emotiva che inizia ad usufruire del corpo per mandare segnali della sua esistenza. Segnali che, in qualche modo, indicano che è necessario cambiare qualcosa. Qualcosa che, è evidente, non sta più funzionando.
Per concludere
Chiedere aiuto ad un terapeuta ed avviare un lavoro introspettivo che consenta di prendere coscienza delle ragioni che scatenano la sintomatologia ansiosa è il primo passo da compiere per sentirsi meglio.
Dotare il sintomo di un significato specifico e imparare a prestare ascolto al proprio sentire più profondo, sono i primi obiettivi a cui ambire, così da privare il sintomo stesso della sua utilità, depotenziandolo.
Successivamente sarà possibile avviare un cambiamento ed abbracciare una condizione psicofisica di maggior benessere, attraverso tempistiche che sono del tutto soggettive. Il lavoro da portare avanti in questa fase è incentrato sulla rassicurazione delle paure, per mezzo dell’identificazione di sicurezze nuove e più adeguate a cui appoggiarsi.
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